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Testo del monologo “To be or not to be” riportato in inglese originale (Dall’ opera di Shakespeare del 1602 – The tragedie of Hamlet, prince of Denmarke)
To be, or not to be: that is the question:
Whether ‘tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die: to sleep;
No more; and by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to, ‘tis a consummation
Devoutly to be wish’d. To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there’s the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause: there’s the respect
That makes calamity of so long life;
For who would bear the whips and scorns of time,
The oppressor’s wrong, the proud man’s contumely,
The pangs of despised love, the law’s delay,
The insolence of office and the spurns
That patient merit of the unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover’d country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o’er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action. – Soft you now!
The fair Ophelia! Nymph, in thy orisons
Be all my sins remember’d.
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Testo del monologo “To be or not to be” riportato in italiano:
Essere, o non essere: questo è il problema:
che sia nel pensiero più nobile soffrire
i sassi e i dardi d’una crudele sorte,
o tendere le braccia contro un mare d’insidie,
e combattendo, porne fine? Morire: dormire;
niente più, e col sonno terminare
l’angoscia e i migliaia
di lasciti della carne, condizione
da accettare devotamente. Morire, dormire;
dormire: forse sognare: ahi, qui sta il problema;
perchè in questo sonno di morte quali sogni possono venire
quando abbandonata la mescolanza al groviglio mortale,
ci frena questo pensiero: è il dubbio
che rende di così lunga vita questa miseria;
chi sopporterebbe le fruste e le derisioni del tempo,
le ingiustizie dell’oppressore, le insolenze dell’uomo orgoglioso,
le pene dell’amore disdegnato, l’indugio della legge,
l’arroganza dei poteri pubblici,
le offese fatte ai pazienti dagli immeritevoli,
quando uno, di propria mano, con un unico colpo,
potrebbe porre fine alla vita col pugnale?
Chi vorrebbe trascinarsi tali fardelli,
brontolare e sudare sotto una vita affannosa,
se quel timore di qualcosa dopo la morte,
regione sconosciuta, dai cui confini
non esiste viaggiatore che torni indietro,
non scombinasse tanto la volontà,
da farci preferire sopportare
quei mali che già abbiamo,
piuttosto che volare verso altri che non conosciamo?
In tal modo la coscienza ci rende dei vili:
e così la tonalità nativa della decisione
si scolora al rilesso sbiadito del pensiero,
e le imprese di grande vigore e momento,
per questa ragione deviano il corso,
e perdono il nome di azione.
Ma silenzio adesso!
La leggiadra Ofelia!
Siano ricordati i miei peccati.
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