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Il tramonto della luna di Giacomo Leopardi è una poesia venuta alla luce dopo la ginestra presso Villa Ferrigni (in località Torre del Greco) intorno alla primavera del 1836, venne pubblicata a Berlino nel 1840.

Il tramonto della luna – XXXIII canti

Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.

Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.


Appunti su questa poesia (analisi del tramonto della luna)

È curioso notare come la poesia “Il tramonto della luna”  venne scritta da Leopardi appena a pochi mesi dalla sua morte. Potremmo quasi dire che  il poeta sia conscio di aver svolto un cammino, che rivede nella poesia in un insieme di tematiche tipiche della sua stessa poesia ma viste con una diversa prospettiva; in “Il tramonto della luna” Leopardi infatti torna indietro, parla di sé come poeta degli Idillii, almeno nella prima parte del componimento.

Nella prima parte torniamo a un Leopardi più giovane, con figure retoriche del Leopardi ormai da tempo oltrepassate; con atmosfere notture rivolte alla luna e la connessione dell’uomo che vuole partecipare all’ambiente, come il carrettiere che canta per il suo animo emotivo, forse perché sera del giorno festivo.

Successivamente si richiama la giovinezza, sebbene in aniera generale, e si presenta la concezione ciclica e rettilinea del tempo; la speranza rimane a lungo nel tempo mentre la vita resta “abbandonata” e “oscura”.

Non si trova un senso alla propria vita, si ha nuovamente il pessimismo leopardiano, e si riprende il tema della morte e della fine dell’esistenza.


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