Dialogo con un teschio
Vecchio, polveroso teschio
su un tavolo riposto tra ammuffiti
libri e calamaio,
e con quel trassi dialogo.
“Narra, di chi fosti il capo?”
E lui di rimando “già un tempo ebbi
corpo, camminai come voi nel mondo
fui felice e or riposo”.
“Tant’è amara dunque la morte?”
“Cosa è la morte se non un patto con l’eterno? Non è già dunque il dormir
assaggio di quella?
Nel tempo mio beato
lontan dall’angogscioso
parto vissi!
Eran i mesi
del bel zefiro giocoso
quando per prati
e valli sudavo, poscia
raggiunger il giorno,
all’amata sposa
ai pargoli in fior
pane nel piatto.”
“Fosti Re? Della guerra un trionfo?
alle corti l’inganno
agli amanti il pianto.
Ancor quello che pareva muto
disse: “No inver! Tutto è dei viventi!
Noi che siamo lor parenti di primo
sangue vissuti, non tessiam
trama alcuna.
Siamo quello che tutto serba
il ricordo, i perduti abbracci
la morte divorò con fameliche
brame la carne la vita, la speranza!”
Ed io che quasi a lagrimar attendevo
“V’e’ auspicio all’ultimo passo?
O nella funerea stanza, saremo per
l’imperituro inverno cechi e reietti?
Al tribunal che pecunia non piega,
duro il giudizio?
Con amaro canto mi condusse
l’antico saggio “della morte abbiate rispetto,
non v’è cagione di tanta pena
se alla Luce saliamo di grazia piena.
Ma se all’infero il cammino intoppo
allor si avrai a lagnar nell’altra scuola.
Li non v’e’ più il ben dell intelletto
siate uomini retti, e non arate i campi di veleno o al par della contessa folle d’Ungheria mangerete figli
servi e lo straniero.
Fui un poco confortato Che tanto avrei domandato al capo illuminato
dell’ultimo veliero.
Che lo recò al vallo perpetuo.
“Or sconto il mio danno di non aver amato tanto, dubbi del mio pastore
odio per il redentore quando dalla
terra fui strappato.
Quietati amico caro più non ti interrogo
sull’ultimo comiato.
S’eran le incitate parole placate
l’ossuta bocca che lingua più non adorna
finì:
“Vita , oh dolce vita quanto mi manchi
ancor da due lustri vinta!
Come vorrei sentir batter il cor
e dell’amore essere allievo!
Tanto caro mi fu il giorno,
che rischiarò il mio esser solo
un uomo.
A più alto mestiere siamo chiamati
ma sovente ignoriamo il compito.
Or luce del sol riscaldami ancor
per quel che resta, le mie membra
la terra ha assunto.
Pallida stella gli occhi son spenti,
ma donami sprazzi d’oro
così sarò più gaio alla bruma della sera”
Autore della poesia sulla morte “Dialogo con teschio”: Corrado Cioci