Osamu Dazai. La scomparsa dell’io ne Lo Squalificato
Osamu Dazai (Aomori 1909 – Tōkyō 1948) pubblica il suo romanzo più conosciuto nel 1948, l’anno della sua stessa morte, tanto da farlo sembrare un resoconto della sua emarginata esistenza e del disagio di vivere in una società che non comunica più nulla agli esseri umani, non soddisfa l’individuo, al punto da renderlo freddo e insofferente verso tutto e tutti.
Ambientato negli anni venti, Lo Squalificato descrive un giovane che viene privato della propria umanità: un essere che finisce per rendersi invisibile, tanto a sé stesso quanto agli altri. Yōzō, questo il nome del protagonista e narratore, infatti, è incapace di mostrare il vero io alle persone; egli finge con gli altri tanto quanto con se stesso, mascherandosi e nascondendosi in ciò che non è, creandosi l’illusione di essere capace di qualsiasi cosa; ma in cuor suo alberga un’oscura consapevolezza che lo porta a tormentarsi al pensiero di non essere in grado di vivere e fare nulla di concreto nella propria esistenza di stenti.
Attraverso delle pagine di diario, quasi dei file provenienti dalla propria memoria, Dazai mette in atto una vicenda intrisa di pessimismo e rassegnazione, in cui un minimo spiraglio di speranza e di vita pare baluginare nel solo pensiero della morte, come troncamento delle sofferenze e delle preoccupazioni. La morte, secondo Dazai, rappresenta non solo il termine della vita umana, ma la fine della vita nella crudele società in cui si vive, vista come un nemico dell’essere umano, incapace di tenere il passo al cambiamento frenetico dei valori, delle persone, del mondo stesso. Agli albori del novecento, nonostante il Giappone fosse ancora in bilico tra l’antico e il moderno, visto dagli occhi di un uomo che è incapace di vivere, il mondo diventa un pericolo, una minaccia, un nemico pronto ad attaccare e a mietere vittime. Nell’insicurezza del proprio futuro, Yōzō non può far altro che fuggire dinnanzi a tutto ciò e a rifugiarsi nell’illusorio e freddo amore nei confronti di donne conosciute in locali notturni e nella scrittura. Nemmeno in quest’ultima, tuttavia, riuscirà a trovare conforto, se non per brevi fugaci attimi.
Dazai sembra voler comunicare che tutto nella vita è futile, e che ogni cosa esterna all’uomo è praticamente inefficace a renderlo felice; che la vera, autentica, genuina felicità può risiedere solo dentro di noi, e che a tal riguardo l’uomo è invece destinato all’eterna infelicità; inadeguato per vivere il cambiamento, quell’apertura del nuovo secolo alla tecnologia e alla modernità che negli anni venti investivano il Giappone, trasformandolo man mano nel colosso tecnologico che è diventato. Il timore di cambiare non solo esternamente ma anche internamente, nel profondo della propria anima, diventa motivo di turbamento per Dazai, il quale trasmette queste ansie e un costante senso di rassegnazione nelle pagine del proprio libro.
A tratti autobiografica, l’opera di Dazai raffigura un personaggio che in qualità di scrittore fallito sembra incarnare l’autore stesso, di successo ma creatore di testi intrisi di oscurità e malessere dell’anima. Lo Squalificato diventa infine il ritratto di una vita di insoddisfazioni che termina inevitabilmente nel nulla. Si può infatti immaginare che Yōzō sia morto, che si sia ucciso, o semplicemente che sia scomparso dalla circolazione, che sia diventato il fantasma di se stesso e di una società alla quale si sentiva estraneo, un non-umano, immateriale. Squalificato della sua natura, il protagonista perde la sua fisicità, il suo peso, la sua essenza, dileguandosi.
Autore della recensione sul libro “Lo Squalificato” di Osamu Dazai: Elio
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