In che cosa consisteva il libero scambismo italiano durante l’era del governo Cavour?
Uno dei primi provvedimenti che vennero adempiti con l’unificazione d’Italia fu l’ampliamento dell’efficacia della tariffa doganale del Regno di Sardegna nonché l’applicazione anche nel resto d’Italia dei previgenti trattati commerciali già in uso nel regno; i dazi andranno poi a diminuire quando si presenterà l’adesione alla convenzione di navigazione del 1862 e al trattato sul commercio del 1863, come nel caso del Belgio.
Per quale motivo venne appoggiato il libero scambio in Italia?
- Si poneva ormai come no evitabile la necessità di pagare il prezzo degli aiuti politico-militari degli inglesi e dei francesi ricevuti nel corso del processo di unificazione del paese, permettendo quindi un’apertura all’industria degli stessi paesi del mercato italiano;
- Il libero scambio poteva rendere concreto il desiderio di permettere alle esportazioni italiane sicuri mercati esteri di sbocco privi della protezione doganale;
- Aprendosi al libero mercato diventava più difficile essere tagliati fuori dalle correnti internazionali di investimenti e progresso tecnico che andavano sempre più verso il liberismo.
All’epoca tuttavia veniva preferito l’adottamento del protezionismo, quantomeno per incentivare uno sviluppo industriale del paese, consentendo così che giungesse a un tiepido sviluppo.
Sebbene l’Italia non adottò il protezionismo già dal 1861, questo si andò delineando dopo il susseguirsi dell’inchiesta del 1870-1874 dove vennero rilevate le richieste di protezione degli industriali italiani.
Gli economisti italiani frattanto, si divideranno in due scuole di pensiero, fra loro distaccate, a seguito dei dibattiti accesi nel corso del 1874.
Possiamo suddividere quindi:
1) “L’associazione per il progresso degli studi economici”
2) “La società di Adamo Smith”
La prima, l’associazione per il progresso degli studi economici, venne fondata da Luigi Luzzatti e Fedele Lampertico, diventando luogo di riferimento per i “socialisti della cattedra”.
La seconda, quindi “La società di Adamo Smith”, andò a raccogliere presso di sé gli economisti di tipo liberista; la sua sede principale fu Ferrara.
Vennero quindi varate numerose misure protezionistiche, in particolare venne elaborata una tariffa doganale di una certa rilevanza riguardante la protezione dell’industria del vetro, dell’industria tessile, della porcellana e della carta; tariffa doganale che venne ad ogni modo rivista intorno al 1883, a seguito del parere di una commissione e di un’apposita inchiesta.
Fra i settori che non vennero protetti dalla tariffa doganale abbiamo l’agricoltura, la chimica e la meccanica.
Una seconda commissione. datata al 1913, provvedette a studiare un nuovo regime doganale, da attuarsi nel 1917, che non vide effettiva attuazione a causa degli eventi bellici, arrivando a concretizzarsi solo nel 1921, includendo nella protezione delle industrie da parte dello stato il settore chimico e il settore meccanico.
Per quanto riguarda l’agricoltura il protezionismo ebbe come risultato l’aumento del prezzo dei cereali, dovuto ai maggiori costi di produzione; è possibile che la produzione di cereali, che nell’Italia di allora non era di elevata redditività, sia stata incentivata proprio dall’inserimento dei dazi ad essi legati.
Una nota importante riguardante l’intenzione di costruire un’industria nazionale per mezzo del protezionismo italiano è quella che va a confrontare la necessità di capitali fra settori.
Le industrie, specie quelle pesanti, necessitavano di capitali rilevanti per svilupparsi, investimenti di grande scala, pertanto si andarono a incrementare più lentamente rispetto alle industrie che necessitavano meno mobilitazione di capitali, quali appunto l’industria della carta, l’industria tessile e l’industria ceramica.
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