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All’interno della dialettica contenuta nella “Critica della ragion pratica“, che costituisce la parte seconda della propria opera , Kant parla della totalità incondizionata dell’oggetto della ragion pura pratica, vale a dire il “sommo bene”, costituito dal bene uguale all’assoluto morale, congiunzione di felicità e di virtù, ovvero il bene intero e perfetto.

Difatti una delle conclusioni che ci viene data è quella secondo cui non sia possibile erigersi, per la felicità, a motivo di piacere, questo perché in questo modo di porrebbe in dubbio il fatto che la legge etica sia incondizionata.

Il supremo bene e l’antinomia di felicità e virtù in Kant

Nonostante questo, la virtù, sebbene sia un bene supremo non arriva a rappresentare il “supremo bene” verso cui tenderebbe la nostra natura, che per Kant varrebbe a dire la somma di felicità e di virtù.

Con l’idea di sommo bene Kant non mette in contraddizione il carattere della morale (che è disinteressato e autonomo) in quanto Kant sceglie di non rendere la felicità causa dell’azione ma esprime, in maniera unitaria, che all’interno di ciascuno di noi sia presente la necessità di ritenere che l’uomo, compiendo per dovere, possa arrivare a essere degno della felicità.

Secondo la visione di Kant tuttavia agendo in questa maniera la felicità e la virtà non avranno mai modo di essere unite insieme in quanto lo sforzo impiegato per raggiungere la virtuosità e la ricerca della felicità vanno a intendersi come ragioni differenti, che vanno intese come solitamente opposte; il motivo per cui vanno intese in maniera opposta è da ricercare  nell’imperativo etico, che implicherebbe la sottomissione delle tendenze nonché la mortificazione dell’egoismo.

Per questo stesso motivo, si pone “l’antinomia” dell’etica, rappresentata della felicità e della virtù, antinomia che genera l’oggetto specifico della dialettica della ragion pura. Avendo a mente il fatto che i filosofi della Grecia antica abbiano tentato in vari modi di slegarla, ad esempio gli stoici provando a sciogliere la felicità nella virtù, e gli epicurei sciogliendo la virtù nella felicità, ci rendiamo conto di come Kant abbia tentato di sciogliere a sua volta questa antinomia postulando un mondo, situato nell’aldilà, in cui sia possibile l’unione tanto agognata di felicità e di virtù, che pone come impossibile da costituire nel nostro mondo.

I postulati per Kant: definizione e spiegazione

A questo punto diamo una definizione di postulato per Kant: i postulati sono quell’insieme di principi che, nonostante siano non dimostrabili, vengono impiegati al fine di costituire come possibili specifiche varietà geometriche o entità.

I postulati di Kant sono in tutto 3:

  • Libertà
  • Esistenza di Dio
  • Immortalità dell’uomo

Si potrebbe dire quindi che i postulati di Kant possano essere intesi come insiemi di proposizioni teoretiche, le quali non abbiano dimostrazione possibile, e che vengano poste come condizione di esistenza e pensabilità della legge morale, venendo ammesse per dare possibilità di esistenza reale alla morale, costituendo così una “realtà della morale”, ma che come già detto, non possono essere dimostrati.

Il postulato dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio

A seguito dell’esistenza dei postulati, oltre che l’immortalità dell’anima e così l’esistenza di un tempo infinito per la stessa, viene concepita la felicità come proporzione della virtù, concezione che dà seguito alla postulazione dell’esistenza di Dio, che per Kant potremmo dire sia la fede in un proposito santo e onnipotente, volontà che permetta a felicità e merito di combaciare.

Poiché siamo di fronte a un processo continuativo di ricerca da parte dell’uomo, ed essendo la santità da intendere come la figura superiore da raggiungere per ottenere la perfetta adeguazione, per avvicinarsi alla perfezione dove si adeguano volontà e legge morale è necessario per Kant postulare l’immortalità dell’anima.

All’interno della vita infatti è impossibile raggiungere la perfezione e quindi la santità, in quanto questa è troppo insidiata da tranelli e distrazioni, rendendo impossibile per ognuno evitare tutti gli errori e non sbagliare mai nelle proprie azioni; pertanto o viene eliminata la legge morale o viene concepito un tempo diverso, in un altra vita, dove l’uomo potrà arrivare alla condizione di santità evitando di sbagliare.

Il postulato della libertà

Anche la liberà è da intendere come postulato, posta come condizione medesima dell’etica, in quanto Kant non ritiene lecita l’affermazione scientifica del libero aribitrio e quindi dell’autocasualità.


Videolezione sui postulati di Kant


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