“Amare e bene velle” è uno dei nomi con cui viene spesso chiamato il carme 72 di Catullo (84 a.C. – 54 a.C.), certamente uno dei carmi d’amore più noti del poeta veronese.
“Amare e bene velle”
Testo latino
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
Qui potis est? inquis. Quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.
Traduzione in italiano
Dicevi, un tempo, che avresti fatto l’amore solo con Catullo, Lesbia,
e che al posto mio non avresti desiderato abbracciare nemmeno Giove.
Ti amavo, allora, non tanto come si ama popolarmente un’amica,
ma come il padre ama i figli ed i suoi generi.
Adesso ti conosco nella carne: perciò, anche se brucio di un fuoco ancora
più violento,
tu sei per me molto più vigliacca e spregevole.
“Com’è possibile?”, dici. Perché un’offesa come questa
impone l’amante ad amare di più, ma a voler bene di meno.
Commento e breve analisi di “Amare e bene velle”
Nella prima parte della poesia Catullo riconosce di aver amato Lesbia profondamente, quando anche lei dimostrava il suo amore, sottolineando il suo sincero sentimento verso di lei, nobile come quello di un padre che ama i suoi figli e i suoi generi.
Nella seconda parte della poesia finalmente Catullo ci rivela di aver aperto gli occhi e di riuscire a vedere più chiaramente ciò che è Lesbia, ora la riconosce come “vilior” et “levior”.
Però Catullo la ama ancora, brucia ancora dalla passione, e ce ne rivela presto il motivo: è questa offesa a lasciargli questo sentimento, a farlo ardere maggiormente d’amore ma a fargli volere meno bene.
In questo commento vorrei sottolineare che si apre un’altra volta quel dualismo tipico di Catullo: da una parte l’amore, dall’altra si sviluppa l’odio: è facile capire come “Amare e bene velle” sia la perfetta introduzione al noto “Odi et amo” Catulliano.