800px I promessi sposi ch6
Fra Cristoforo e Don Rodrigo (immagine da Wikipedia)

Analisi e riassunto del capitolo 26 dei Promessi Sposi di Manzoni:

Lo scrittore consapevole dell’operazione che fa si rende conto di presentare un personaggio al di fuori dall’esperienza comune. Abbiamo a che fare con lo scrittore che colloca degli esempi positivi, però lo scrittore è così consapevole della sua operazione che ha la necessità di prendere posizione e di chiarire. A differenza di Dante è che questo non ha bisogno di dare delle spiegazioni, lui rappresenta senza problemi, mentre Manzoni può cogliere l’obiezione che quello che sta rappresentato è qualcosa che si allontana molto dalla realtà. Il dialogo tra il cardinale e l’Innominato è asimmetrico in due direzione: uno sta in basso e l’altro sta in altro e una seconda asimmetria è una questione caratteriale nel senso che il cardinale è un santo monolitico. Qui è facile invece per il cardinale attaccare Don Abbondio. L’attenzione dello scrittore è su Don Abbondio (Capitolo 25): Don Abbondio è il pulcino negli artigli del falco (Don Rodrigo). Don Abbondio si giustifica dicendo che era in una situazione di debolezza. Osservando questo quadro non si può dar torto a Don Abbondio. Don Abbondio dice “il coraggio uno non se lo può dare”, è una frase dal sapore di sentenza. C’è uno slittamento di Don Abbondio che si sta difendendo, è assolutamente convinto che abbia ragione e se si comporta in questo modo è solo perchè è di fronte al cardinale, ma dentro di se è convinto di se. Stabilita una situazione negativa il personaggio vede se ha possibilità di comportarsi positivamente e di salvare la propria pelle, se non può farlo si adegua alla situazione. Dal punto di vista del prete i due quasi non contano, lui ha solo tentato di rinviare il matrimonio. A differenza Fra Cristoforo possiede un coraggio e una capacità di agire e di trovare delle soluzioni, ma viene poi sconfitta perchè sia Renzo che Lucia non trovano il riparo che Fra Cristoforo pensava di avergli trovato.
E’ un problema da un lato di carattere psicologico e caratteriale, ma è anche il problema del rapporto tra il carattere che uno possiede e il comportamento etico che si deve tenere. Non basta l’etica, ma c’è anche la necessità di uno scatto ulteriore: quando il cardinale parla di un sacrificio della propria vita, si passa dall’etica al sacrificio di se, e Don Abbondio dovrebbe diventare un martire. Don Abbondio è fatto così e non cambia ma ci si chiede se in una situazione del genere bisogna diventare martire o no, ed è questo il dilemma dell’inizio del capitolo 26. Lui può rappresentare figure positive, e così positive da assurgere a un livello di scelta quasi da martire? (abbiamo un martire alla fine del poeta: Fra Cristoforo. Fra Cristoforo è dentro il lazzaretto e non vede mai Lucia -improbabile-. Alla fine del romanzo è Renzo che trova Lucia, e questa situazione drammatica doveva trovarla l’autore. Per rimetterli insieme l’autore doveva trovare qualcosa di spettacolare. Renzo racconta la storia a Fra Cristoforo e alla fine Renzo la trova per caso, hanno un dialogo d’amore difficile, Fra Cristoforo la scioglie dal voto e a questo punto il romanzo potrebbe finire, ma non è così: importante il discorso di Fra Cristoforo quando gli dice di andare via. Siamo in un momento di felicità: Lucia e Renzo sono salvi ma quello che sta dando la vita è il Frate. Il sacerdote fa tipo una predica del matrimonio tra i due, e quello che sta dicendo assume dal punto di vista del Frate l’idea di testamento spirituale. Ciò che dovrebbe contare è il ritrovamento tra i due e il raggiungimento di modello matrimoniale cristiano che trova una situazione miracolosa. Il suo non è un discorso aperto alla gioia e alla speranza se qui si sta celebrando quasi un matrimonio. L’autore usa gli ultimi due capitoli sulla vita e sul modo che gli uomini hanno di reagire alla vicende umane; in questo caso è ridotto ai due ma la contrapposizione tra il piccolo personaggio di Don Abbondio e il sublime modello di sovranità, lo scrittore deve dire ciò che pensa).
(capitolo 26) Nella prosecuzione del discorso le sue figure sono curate e a Don Abbondio viene concesso un doppio spazio: da un lato parla mentre viene data attenzione a quello che Don Abbondio pensa dentro di se. Il cardinale dice che doveva avvertirlo di questa situazione ma Don Abbondio non avrebbe fatto in tempo. Con questi botta e risposta qualcosa si insinua anche nel cardinale. Dopo aver detto una cosa che non doveva dire Don Abbondio si aspetta una sgridata maggiore ma quando alza lo sguardo rimane stupito perchè Don Abbondio non riesce a capire la posizione del cardinale. Quella che poteva essere un’accusa al cardinale (lui può stare tranquillo nel suo palazzo vescovile confronto a Don Abbondio che vive in basso)in realtà colpisce nel segno. Il cardinale ribatte, ma è una strategia. Il cardinale che è un uomo anch’esso il suo compito è, essendo al vertice della chiesa di Milano, presentare il modello anche se ammettere che gli uomini possono sbagliare. Questo è tatticamente un momento di avvicinamento, anche se Don Abbondio continua a non capire molto. Don Abbondio nel suo piccolo è più furbo: quando l’altro ha fatto il segno di umiltà dicendo che come uomo avrebbe potuto sbagliare anche lui Don Abbondio non si ferma, pensa che può ancora colpire il cardinale. Questo segna la differenza tra i due. Il cardinale nel romanzo è mostrato con zelo e con una vocazione, mentre Don Abbondio non aveva la vocazione ma una debolezza. I due si possono lasciare con Don Abbondio chiede perdono e capisce di avere sbagliato per fortuna (se si ritrovasse nella stessa situazione rifarebbe quello che ha fatto: quando Renzo e Lucia tornano al paese per sposarsi Don Abbondio comincia ad opporre resistenze perchè ha paura che Don Rodrigo non sia ancora morto, smetterà con le resistenze quando arriva l’erede a prendere possesso nel palazzo di Don Rodrigo. A quel punto non solo accetta il matrimonio ma diviene generoso nei confronti dei due: suggerisce all’erede di fare un regalo ai due sposi, ovvero la decisione del prezzo delle case di Renzo e Agnese da vendere che viene molto alzato rispetto al vero valore. Questo ha un effetto molto inaspettato, perchè nel loro secondo trasferimento i due useranno questa somma per compare una bottega: Lucia e Renzo salgono di un gradino, da operari a proprietari). Vediamo il dialogo del cardinale prima con l’Innominato, che è molto alto, ma poi con Don Abbondio, il quale dialogo parte in modo alto, ma poi si abbassa per adeguarsi, per capire quello che vuole intendere il curato.
Lucia viene mandata da Donna Prassede, riceve del denaro dall’Innominato e quindi Lucia ora è costretta a spiegare ad Agnese quello che è accaduto: le deve dire che ha fatto il voto. Agnese ci rimane male perchè pensa che la figlia ha sbagliato e perchè la figlia glielo ha detto il ritardo. Agnese non crede che le cose possano cambiare e quindi che non possa più sposare Renzo, quindi decide di dividere la somma e darne una parte a Renzo con una lettera, spiegandogli in breve la situazione facendo capire che il matrimonio non si potrà più fare.
Il romanzo permette di sposta ancora l’attenzione su Renzo.
Adesso il problema del narratore è come dal capitolo 26 arrivare al 33 dove la vicenda riprende l’azione vera e propria. Siamo in una fase più difficile da reggere le per lo scrittore perchè non ha grandi fatti da raccontare. Quando deve affrontare una fase più distesa si raccordo tra una parte e l’altra bisogna usare varie tecniche con il romanzo consente per occupare questo spazio. Una di queste cose è il riferimento ai fatti storici. Inoltre lo scrittore ha la necessità di far rivivere i suoi personaggi. A Renzo cosa succede? Qui lo scrittore non ci dice molto ma importanti sono due aspetti: l’atteggiamento ironico che ha lo scrittore nelle vicende storiche autentiche: si racconta come le autorità milanesi, avendo dovuto constatare la fuga di Renzo. L’ironia si svolge sul fatto che due grandi poteri: Milano e Venezia si occupano di un personaggio che non è di molto rilievo e inoltre non c’entrava niente.

La critica di Manzoni è verso una politica che perde i veri orizzonti. Il nuovo nome che assume Renzo è quello di Antonio Rivolta (ironia). Succede qualcosa che incide anche nella vicenda: il cardinale quando viene a sapere questa storia capisce che Renzo era innocente, tanto più che nella chiacchierata con Don Abbondio, prima di cominciare le accuse gli chiede di Renzo, e Don Abbondio gli dice che non gli risultava che Renzo potesse promuovere una sommossa, allora il cardinale cerca di fare delle indagini finché arriva a Bortolo. Ciò che era organizzato dal cardinale, ovvero una ricerca per salvare Renzo, all’interno della situazione di falsi e di fughe legate in modo assurdo alla politica Bortolo non risponde con la verità perchè il povero può nascondersi, cercare di evitare, come Don Abbondio: evitare di essere coinvolto perchè chi è debole non può mai uscire positivamente da situazioni del genere, quindi il cardinale non arriva a nulla di positivo.