Le controversie tra creditore e debitore sono piuttosto diffuse in numerosi ambiti. Non di rado, chi ha diritto a riscuotere il proprio credito incontra difficoltà di varia natura soprattutto per la reticenza o l’impossibilità del debitore di corrispondere quanto dovuto nei modi e nei tempi concordati. In casi del genere, si può esercitare quello che in gergo tecnico viene definito “diritto di ritenzione“.
Il diritto di ritenzione nel Codice Civile
Si tratta di un privilegio regolamentato dal comma 3 dell’articolo 2756 del Codice Civile: “Il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno“.
In altre parole, il creditore ha il diritto di ‘ritenere’ (ossia ‘trattenere’) a se una cosa che dovrebbe restituire al legittimo proprietario della stessa finché quest’ultimo non adempia ai propri obblighi (ovvero il saldo del debito, in qualunque forma sia previsto dall’accordo tra le parti). Il diritto di ritenzione non si può esercitare sempre, ma solo nei casi previsti specificamente dalla legge; per questo, è consigliabile richiedere un parere qualificato, anche a portali dedicati alla consulenza legale come Avvocato Accanto.
L’articolo 1011 del Codice Civile, ad esempio, disciplina la “Ritenzione per somme anticipate”. Il dispositivo riconosce all’usufruttuario il diritto di ritenzione “sui beni che sono in suo possesso fino alla concorrenza della somma a lui dovuta“. Ciò significa che il soggetto che gode dell’usufrutto di un bene può trattenerlo al fine di ottenere il rimborso di eventuali spese sostenute a favore della proprietà o del bene in usufrutto.
Anche l’articolo 1152 del Codice Civile contribuisce al quadro normativo in materia di diritto di ritenzione. Il dispositivo stabilisce come un creditore in buona fede possa ritenere una cosa fin quando non gli siano riconosciute le “indennità dovute” a condizione che queste siano state rivendicate per tempo e che il “possessore di buona fede” di un bene immobile riesca a fornire una prova (anche generica) di riparazioni o miglioramenti apportati alla cosa.
Un esempio semplice ma efficace è quello di un coltivatore diretto in affitto che conserva il diritto sul fondo fin quando il proprietario (o il locatore) non gli corrisponde l’indennità per le spese sostenute al fine di migliorare le condizioni del fondo stesso.
L’esercizio del diritto di ritenzione e il pegno gordiano
La ‘ritenzione’ è un privilegio che riguarda i beni mobili ed è volto alla tutela dei creditori. Come detto, può essere esercitato solo nei casi previsti dalla legge, ovvero quando l’oggetto ritenuto è legato in maniera diretta e funzionale alla prestazione offerta od alle spese sostenute al fine di riparare o migliorare la cosa in oggetto.
Quest’ultima, in genere, viene semplicemente trattenuta e quindi non utilizzata in maniera indiscriminata; in realtà, può essere anche venduta secondo quanto stabilisce il già citato articolo 2756 del Codice Civile. La vendita può avvenire solo “secondo le norme stabilite per la vendita del pegno” (articolo 502 del Codice di Procedura Civile) ovvero “la vendita può essere chiesta senza che sia stata preceduta da pignoramento“.
Un particolare caso di applicazione del diritto di ritenzione è il ‘pegno gordiano‘, disciplinato dall’articolo 2794 del Codice Civile: chi ha costituito il pegno non può chiederne la restituzione se il capitale e gli interessi non sono stati pagati per intero e le spese (relative al debito ed al pegno) non sono state rimborsate del tutto. Nello specifico, al comma 2, il dispositivo stabilisce che “se il pegno è stato costituito dal debitore e questi ha verso lo stesso creditore un altro debito sorto dopo la costituzione del pegno e scaduto prima che sia pagato il debito anteriore, il creditore ha soltanto il diritto di ritenzione a garanzia del nuovo credito“.