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Era notte fonda e tu dormivi beato affianco a me. Quella sera non riuscivi a prender sonno, dicevi di aver un brutto presentimento, una preoccupazione che ,seppur fittizia, ti procurava angoscia. La pioggia incessante accentuava la forte paura che logorandoti strappava le tue certezze. La fronte curva, appoggiata sul cuscino bianco, segnava la tua stanchezza e insieme ad essa, le occhiaie, sotto quei verdi occhi, color mare, confermavano le troppe poche ore di sonno che in quell’estate calda e trafficata eri riuscito a consumare. Tutto era così calmo, in quella sera di fine agosto. Quasi troppo. Finalmente eri riuscito a riposare ed io ero felice. Felice perché desideravo tanto guardarti dormire. Non lo facevo da troppo tempo. Il lavoro, che continuamente, faceva muovermi e non fermarmi, cambiare albergo, letto e facce, mi stava consumando, portando via la parte piu bella di me e con essa le cose piu belle della mia vita, tu, ad esempio. Ti vedevo ricurvo aggrappato al cuscino come se volessi proteggerti da qualcosa e sentivo l’odore della pioggia che goccia dopo goccia bagnava l’erba del nostro giardino. Eravamo noi due. Il nostro letto. La nostra casa. Le nostre anime e i nostri corpi sudati e stanchi che dopo aver fatto l’amore avevano trovato rifugio nelle fresche lenzuola, consumate dal tempo, di un letto non vissuto.

La pioggia sembrava cessare ed io sentii l’ impulso di bere un bicchier d’acqua. C’era una bottiglia di vetro appoggiata sul mio comodino. Affianco ad essa un bicchiere e libri sparsi. Fogli. Appunti. Quotidiani di mesi fa. Rimasti li inermi, per tanto tempo, aspettando il nostro ritorno. Anche tu eri sempre in viaggio. Giravi, guardavi, osservavi. E mentre io vagavo tra librerie e caffè, case editrici e uffici, per i miei squallidi libri, tu immortalavi i momenti migliori con la tua meravigliosa macchina fotografica. Era passato il tempo in cui gli sposi ti chiedevano di farsi fotografare davanti lo stagno delle paperelle. Avevi raggiunto uno dei sogni di una vita. Fotografare mettendo te stesso nel rullino, con passione, facendo reportage e servizi per alcuni fra i giornali piu importanti del mondo. Del resto, eri soddisfatto di te stesso, e non ti spaventava stare un mese in Tanzania o in Sierra Leone. Avevi raggiunto il tuo obiettivo e con esso la tua piu alta felicità. Ci vedevamo poco. Pochissimo. E quel poco tempo non bastava mai. Rendeva tutto impossibile. Era impossibile pranzare insieme. O semplocemente dormire abbracciati. Ci doveva essere una soluzione. Non potevamo vivere cosi. Ci amavamo e amavamo il nostro mestiere, la nostra fretta e la nostra paura del tempo. Per ora bastava guardarti e tutti i pensieri svanivano. Domani avremmo pensato cosa fare del nostro amore. Domani. Tutto domani. Rimandiamo, rimandiamo e non cambia nulla. Tutto rimane immutato.

La tua statura prorompente mentre dormivi sembrava sparire, eri rannicchiato tanto da sembrare un piccolo gattino solo e inerme fra le intemperie nella notte di natale. Ora piu che mai ti amavo e, osservandoti, respiravo tutta la tua incantevole bellezza. Specialmente quella del cuore e dell’animo. Un animo risoluto, ma al contempo fragile e sottile.

Ti piaceva la letteratura francese e l’arte. Solo io potevo sapere quanto la amavi. Dopotutto c’ero io, quando rimanesti un giorno intero chiuso nel Louvre e un’ora e mezza davanti “L’abbraccio” di Egon Schiele e “Gli amanti” di Magritte.

D’un tratto ti girasti di scatto, come se consapevole che ti stessi guardando, osservando e pensando. Risi. Eri buffo con la mia maglietta dei Radio Haed che ti stava come toppino anni ’90, ma eri comunque bellissimo. Mi venne in mente quando vidi la biblioteca di Praga , una delle piu belle al mondo. Rimasi folgorata e tu mi dicesti che un giorno ne avremmo avuta una altrettanto bella a casa nostra. Mi misi a ridere.

Mentre tu dormivi, quella sera, vedendo scatoloni interi di libri buttati qua e la, per una casa nostra solo burocraticamente, mi venne da piangere. Capii che i nostri sogni e il nostro amore sarebbero svaniti nel nulla se avessimo continuato a vivere per noi stessi e per le nostre utopie, vedendoci una volta al mese.

D’improvviso il rumore assordante del biccheire di vetro sul mio comodino, frantumato a terra in mille pezzi, mi fa sobbalzare.

Ed eccomi qui, in una stanza nuda e spoglia. Tu non ci sei. Forse non ci sono nemmeno piu io. Ti ho sognato ed ero felice. Vado a farmi una doccia. Sono scossa e sudata. Stanca e turbata.

Mi manchi.

Mi spoglio. Cercando di non far troppo rumore. Non vorrei svegliare i mei vicini di stanza.

Sono a Venezia, il paesaggio è triste. Vorrei che fossi qui. Vorrei vederti dormire affianco a me. Per sempre. Protetto dal mio sguardo. Ma non ci sei. Dove sei?

 

Per ora soltanto nei miei sogni, amore mio.


Autrice: Asia Tamburrini