poesia termopili

Termopili

Il furore nero d’oriente il gran Dario che nulla teme,
per ingordigia e arroganza la grecia volea a sudditanza.
ma un vento d’amor e di patria si also contro cotal tracotanza.

Già squilla la tromba dell’ateniese e spartano
il ferro nella cintola, lancia in resta, la mano a scagliar
il fatal giavellotto.

Stuoli di giovinetti in festa padri armati di bronzo,
di scudi, già le città d’ellade son in marcia di guerra!

Libertà, libertà che sei sempre cara, che i cuori sollevi
l’orgoglio inciti, contro angheria e miseria.

Per l’agora donne piangenti al fatal momento
del distacco dallo sposo guerriero,
ma in ver la fede, la patria gli dei, lo stato
avean forgiato il primo grido.

Giovinezza che ti immoli sull’altare supremo
che non temi il dolor sangue e patimento,
simbolo di virtu che nell’uomo freme.

Temistocle vi guida al gran fiato che non sia il
sol di Grecia dal barbaro violato
nessun per l’Egeo che ti bagna culla del saper, del greco non ha verbo,
non si nutra del tuo latte, non trovi rifugio
né sonno, mai!

Come in un campo di grano spunta prima un esil germoglio
del nuovo stelo e di poi, diventa biondo e bello
Così mille e ancora mille alzarono il capo
la catena pesa, il popolo non è schiavo.

Non darete i vostri figli in servi,
non sian per vostre mogli nuovi mariti, i serpi.

La voce di Leonida dal sangue invitto,
già echeggia nello spirito ellenico,
nei suoi che avean,
negli occhi il furor di Marte
che tambura, sprona
alla lotta, viso a viso
corpo a corpo,
nell’orrendo cerchio.

Capo Artemisio, il primo intoppo
al tuo galoppo,
del mar han fatto sepolcro
navi, uomini,
comando e scettro.

Mardonio, oh general dell’invitto
regno come è amaro il sale
di Grecia, come sa di morte l’onda egea
che si sfama e nutre del persiano
cocchio,
per la costa che volea pagò la sua spocchia.

Un pugno d’uomini, indomiti,
fu il vostro peggior acciacco.
Alla Termopili il duro nodo!

Eravate uno sciame in fiera,
che potevan far contro tal creanza?

Eppur una sola ape se punge,
piega, piccola sì ma battagliera.

V’accalcaste l’un sull’altro
al tristo passo,
dalla scogliera greve pioggia
fermò i passi, i bardati,
come erba falciata
facevan della carne
pietoso ammasso.

Vedevan del sangue farsi lago,
perir così come la preda
sente la lancia.

Fu vera gloria?
In nome del poter
che l’uomo infetta
che vole sempre più e non si lecca
il suo dono,
si fa scotto della boria
che acceca.

Giovinezza sempre amata
come sei effimera!
Tutto passa, e il tempo
tronca vite, storie,
glorie antiche!

Ma mentovar in nome
della franchigia,
la tua pudicizia l’unico
fior di questa vita
e il suo sfiorir è aspro
quando son canute le chiome
la voce del pargol che fummo un tempo
al suo malincomico pianto,
ci fa lagrimar.

Questo l’amarognolo
compagno, dei giorni perduti
che ci fa riposar.


Autore della poesia: Corrado Cioci


Nota dell’autore sulla poesia “Termopili”:

La guerra il pianto
la voglia di potere e lo sprezzo
per la vita umana ieri come oggi
la libertà è però cara, cosa che spinge a gesta eroiche.