Luce fra i rami

L’empirismo logico si trova in una posizione similare con il Positivismo del 1800; in effetti viene spesso chiamato anche col nome di “Neopositivismo“.

Difatti l’empirismo logico vede la filosofia come una metodologia della scienza, quindi in maniera uguale a una sorta di ponderazione riguardante il metodo della scienza.

Le differenze col positivismo si rivelano proprio in quanto lo stesso positivismo riprende più il lato della logica e linguistico della scienza.

La differenza invece per l’empirismo logico è proprio il come la scienza non sia più un accumulo di verità incondizionate e universalmente e senza dubbio valide, cosa che fu invece tale per i positivisti.

Le scienze pertanto non vengono più prensentate tramite i caratteri dell’assolutezza; le leggi scientifiche cessano di presentarsi come una validità definitiva (proprio Einstein renderà conto di questo facendolo capire per mezzo della teoria della relatività e della meccanica quantistica), tuttavia possono essere cambiate; le leggi scientifiche sono rivedibili.

L’empirismo logico (o neopositivismo) quindi risulta dall’unione di due correnti filosofiche: quella empirista (Locke e Hume) e quella logicista (Frege e Russel).

Dagli empiristi i neopositivisti erediteranno il rifiuto delle metafisiche, la critica all’innatismo (le idee derivano dall’esperienza e quindi non sono innate), la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto.

L’empirismo è rappresentato nell’ottocento dall’empiriocriticismo di Avenarius a cui aderisce Ernst Mach, un filosofo e scienziato austriaco a cui è intitolato il circolo di Vienna.

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