Luci soffuse oriente

Le Notti Bianche – la fuga dalla realtà, il rifugio nel sogno

Il romanzo breve, o un racconto lungo, se vogliamo, fu scritto da Fëdor Dostoevskij nel 1848, una delle opere giovanili dell’autore, non ancora intrisa di quel tratto oscuro e pessimistico che contraddistingue gli scritti successivi, ma già impostato in quella direzione, come è possibile leggere in alcuni passi.

Le Notti Bianche prende l’avvio in una serata di maggio in cui l’autore comincia a narrare il suo incontro con una fanciulla, Nasten-ka, la quale, sconsolata per l’allontanamento del proprio amato, intratterrà una relazione di amicizia con il protagonista, gli racconterà la sua storia, avvicinandosi a lui sempre più, fino a dichiarargli di provare una forma di forte sentimento per lui, che seppur non si avvicini all’amore provato per il proprio amato è paragonabile a un legame fraterno.

Il protagonista, al contrario, viene immediatamente rapito dalla bellezza e dalla dolcezza della fanciulla, e desidera restare al suo fianco: prova per lei un intenso amore. Partono da qui delle profonde quanto malinconiche riflessioni sul significato della vita, dell’amore, della stessa esistenza in questo mondo. A far da sfondo alla storia è Pietroburgo, per l’occasione ricreata su due piani ben distinti: uno, la città, grigio e buio, quasi una prigione, che attanaglia l’animo del protagonista, costringendolo alla reclusione. Il protagonista si sente asfissiare tra le mura della città, che inevitabilmente rappresenta per lui il mondo della ragione, dove il sentimento non trova posto. Il secondo, invece, la campagna, dove incontra Nasten-ka. Questo luogo richiama un po’ un topos letterario: la campagna in cui lo scrittore trova, in forma di catarsi, sollievo e trae respiro dalle atmosfere opprimenti della città. È proprio in questo paesaggio così aperto, e così etereo, nel silenzio della notte, che i pensieri e i sentimenti dell’autore vengono liberati, finalmente, dalle catene della ragione, e si librano in uno spazio sconfinato, senza limiti, espressi nella maniera più pura.

Trapela, dunque, dalle parole del protagonista un vero e proprio bisogno di libertà. La campagna, rappresentazione dell’immaginazione, del sogno, della speranza, della libertà, diventa lo sfogo delle ansie e delle paranoie della città. È qui che l’autore inscena la storia, in cinque notti, più un epilogo al mattino, ed è proprio qui che ha luogo il sogno.

Proprio come qualcosa di non veritiero, infatti, i sentimenti del protagonista per la giovane Nasten-ka sono destinati a infrangersi come cristalli e andare in pezzi, impossibili da rimettere insieme. Ciò che nella notte ha avuto luogo, come in un sogno, uno dei più belli, al mattino viene smentito, come quando svegliandosi ci si accorga che tutto ciò che si è vissuto non è stato reale.

Per quanto possa sembrare triste e pessimista, forse, in fondo, il messaggio dell’autore vuole essere positivo. Attraverso questa breve ma intensa storia di amore, il protagonista, e con esso il lettore, vive un’esperienza che gli riempie l’animo di gioia. Non è forse questo lo spirito della vita: godere delle piccole cose? Talvolta insignificanti, talvolta belle e intense ma con un finale triste e spiacevole, eppure bisogna godere dell’attimo in cui esse accadono, di quell’attimo in cui le viviamo e le imprimiamo nella nostra memoria attraverso ricordi indelebili, perché è in questo che risiede la felicità: vagare nei bei ricordi del passato, per dimenticare la durezza e l’asperità della vita presente. In fin dei conti è proprio il protagonista a dirlo, a conclusione, al mattino, il momento in cui arriva la consapevolezza che tutto è stato come in un sogno, bello, ma irreale: “Un minuto di felicità! È forse poco, seppur in tutta la vita di un uomo?”.

Autore dell’articolo: Elio