Medicina
Immagine da Pixabay

Spesso si afferma che la sordità sia una disabilità invisibile, difficile da mettere a fuoco in tutti i suoi aspetti. La sordità non “si vede”, ma è riconoscibile solo al momento della comunicazione.
Così le persone sorde non sempre ricevono, da parte degli udenti, tutte quelle attenzioni di cui avrebbero necessità.

La sordità però non va intesa come, ed esclusivamente, una patologia ossia non si deve limitare il pensiero all’attenzione di aspetti prettamente medico-riabilitativi, un campo di ricerca sul quale occorre ancora impegnare ricerche, ma focalizzarsi sulle implicazioni sociali della sordità, poiché colpisce, prima di tutto, la sfera della dimensione relazionale e comunicativa dell’individuo.
Il suo essere pienamente inserito nella società.

L’assenza di una acquisizione del linguaggio parlato in modo naturale e, di conseguenza, del linguaggio scritto comporta che l’acquisizione di questa avvenga solo dopo un lungo periodo di riabilitazione logopedica. Questi sono i motivi principali per cui alla persona sorda è necessario offrire “tutti” gli strumenti comunicativi indispensabili alla sua educazione e crescita individuale.

In questo modo possiamo parlare quindi della lingua dei segni, essa non è una abbreviazione dell’italiano e neppure una mimica, o un qualche codice, la lingua dei segni è una lingua con proprie regole grammaticali, una struttura sintattica, lessicale e morfologica. La lingua dei segni si è evoluta, come tutte le lingue, in modo naturale, utilizza i cosiddetti componenti manuali che sono la configurazione, la posizione, il movimento delle mani, ma anche componenti detti non-manuali, l’espressione facciale, la postura. Si “muove” nello spazio antistante il segnante, delimitando una dinamica evolutiva e di spazio.

La lingua dei segni è una lingua visiva-gestuale, ma rappresenta ed è portatrice anche di una storia e di una sua trasmissione culturale.

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Nell’immagine sono presentii simboli della lingua dei segni americana, ovvero l’alfabeto asl (foto da Wikipedia). In Italia viene invece usato l’alfabeto LIS.

L’Abbè de L’Epèe, educatore, fondatore di una Scuola a Parigi, introdusse segni da lui creati, corrispondenti ad elementi grammaticali della lingua francese; con il Congresso di Milano del 1880 si impedisce alla lingua dei segni di essere praticata, dando maggior rilievo ed importanza all’oralità.

Solo a partire dagli anni sessanta la lingua dei segni tornerà in auge, studiata da un punto di vista linguistico, dimostrando pienamente che essa possiede un suo lessico, quindi una sua grammatica.
La lingua dei segni quindi è un patrimonio, una cultura, una storia. Un valore che si riflette anche nell’affermazione del diritto alla comunicazione, una ricchezza, non una diversità.

Persone sorde ed udenti possono comunicare attraverso la lingua dei segni, espressione “visibile” della nostra società, senza paure di pregiudizi e più grande pregiudizio sulla “diversità”.


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