La mia sera poesia

Giovanni Pascoli (nato a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 e morto a Bologna il 6 aprile 1912) scrisse probabilmente la poesia “La mia sera” intorno al 1900; tale poesia sarà poi pubblicata nel 1903, in un volume di poesie chiamato “Canti di Castelvecchio“, pubblicato a Bologna con Zanichelli nel 1903 (poesia 46); il titolo della raccolta probabilmente intendeva collegarsi ai “Canti” di Giacomo Leopardi, verso cui forse il poeta cercava in questo senso di creare un filo unificatore.

La mia Sera

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Nè io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don… Don… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.


Analisi della poesia “La mia Sera”

Nella poesia viene sottolineato l’insieme delle somiglianze che caratterizzano il panorama della sera, al termine di una tempesta, rispetto alla situazione in cui si trova la disposizione di Pascoli.


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