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Quello che si sviluppa presso gli “Umanisti” era un dialogo sugli argomenti più vari:

– Politica, poesia, arte, religione, filosofia, geografia-, completamente al di fuori di una prospettiva “storicistica” e all’antichità si chiedeva di indicare delle strade diverse da quelle in cui ci si era impantanati nel presente, con l’obiettivo di ripercorrerle per cercare di costruire un futuro migliore.

Centrale in questa prospettiva è dunque l’idea di una storia spezzata, ossia di una storia che procede nel segno della discontinuità per così dire “tripartita”: Antichità, Medioevo, Rinascimento.

Ed è in questo spirito che nasce il tema del rapporto tra intellettuali greci e Roma nel contesto dell’espansione dei romani verso Oriente e della loro successiva organizzazione di questi territori; in particolare di un’ideologia imperiale finalizzata alla legittimazione del Dominio imperiale.

Si prende come punto principale di riferimento l’impero romano al suo apogeo, si tratta del segmento della lunga storia di Roma meglio rispondente agli interessi più attuali dei ricercatori al lavoro in questo settore storiografico. Il modo giusto di partire può essere quello di porsi la domanda: perché le problematiche connesse al tema della costruzione dell’Impero romano sono state oggetto dell’attenzione degli intellettuali greci prima che di quello degli intellettuali romani; e perché in ogni caso hanno accompagnato con maggior continuità i successivi sviluppi della vicenda fino ai suoi esiti conclusivi?

Porsi questa domanda significa avere già presente una serie di motivi di interesse: il ruolo della riflessione intellettuale come momento di razionalizzazione e di spiegazione dei processi storico-politici.

Riprendendo la domanda di partenza, si può osservare che la personalità di Polibio si colloca all’inizio del processo sopra accennato, prima di tutto nel senso che è stato lui a costruirne i fondamenti, individuando il filo degli eventi che gli si erano svolti sotto gli occhi e identificando per primo la portata storico-universale dell’insediamento di Roma al centro del sistema politico del mediterraneo: un successo che, secondo Polibio, i romani avevano meritato per le loro capacità militari, ma anche per la costituzione mista.

Bisogna tener conto del fatto che Polibio ha sviluppato il suo discorso risiedendo a Roma in qualità di ostaggio della Lega Achea, è facile considerare la sua opera come una sorta di “bottino di guerra” dei romani, accettando di accreditare un programma di normalizzazione auspicato dai vincitori, a loro tanto più necessario quanto più alto era il livello culturale dei vinti, che dunque dovevano essere in qualche modo “convinti” a mettere questa superiorità al servizio dei vincitori stessi. L’operazione svolta da Polibio è in effetti segnata dallo spirito di quello che oggi si definirebbe: “collaborazionismo intellettuale”.

Nel corso dei decenni che seguiranno al suo arrivo a Roma, Polibio nutrì sempre numerosi dubbi su queste virtù, sulla provvidenzialità dell’espansione imperiale di Roma, e alla fine, avendo acquisito un più ampio spazio di libertà intellettuale e politica, trovò il coraggio di esternare le sue idee, anche se in una scrittura destinata ad un pubblico molto ristretto. Questi dubbi ricadono poi in successive sue riflessioni secondo le quali il giudizio sulla qualità del dominio romano e quindi sulla sua presumibile durata viene significativamente rinviato alle generazioni future.

Anche l’affermazione di una sua massima di principio generale: Vincere è sottomettere tutti al proprio dominio, non può essere considerato il fine di un’impresa, in quanto tutti coloro che fanno parte di qualcosa, o fanno semplicemente “qualcosa”, lo fanno sempre in vista di ciò che di piacevole e bello o di utile deriva dalle loro azioni. – suona come un monito ai romani a fare buon uso della loro vittoria.

Negli stessi anni, altri intellettuali greci hanno già attivato il dibattito circa il possibile fondamento etico-giuridico dell’espansione romana e quindi la legittimità del loro dominio mondiale.
Nel 155 a. C. nasce quel fenomeno a Roma che noi chiamiamo Imperialismo Romano e che i greci interpretavano secondo la logica Tucididea della volontà di potenza, ma che i romani stessi pretendevano di spiegare in termini di Bellum Iustum, secondo Carneade questa iustitia era in realtà la civilis iustitia, cioè la sapienza politica che non aveva nulla a che vedere con la Iustitia Naturalis, cioè la “vera giustizia“.
Dalle parole di Carneade sembra che venga a configurarsi la denuncia della conquista romana, niente più che un’ennesima manifestazione di naturale prepotenza ed egoismo di una “imperiosa civitas”, fatta da quegli ambienti e la relativa reazione romana.

In ogni caso alla fine si addiviene, dopo un lungo periodo di conflitti, che si intersecarono con le guerre civili, ad una accettazione a denti stretti del ruolo politicamente e militarmente egemone di Roma da parte dei ceti privilegiati del mondo ellenistico, i quali cedettero ai romani la responsabilità e l’onere di garantire l’ordine sociale nelle loro città e in tutta l’ecumene. Da quel momento in poi chiunque si opponesse all’ordine romano diventò un pericoloso sovversivo da trattare come un problema di “polizia“. Fu così fissato il modello standard di un Governo Mondiale unipolare in quanto Augusto decise di accontentare ogni idea di ulteriore espansione verso l’oriente, il regno partico rimase però una sorta di limbo geo-politico, non suscettibile di interferire nel sogno romano.

Da questo momento cominciano a farsi sentire le voci intellettuali che appaiono schierate a sostegno della scelta di campo fatte dalle dirigenze politiche, anche se fin dall’inizio esse si muovono controstile.

Tuttavia, questa corrente culturale ed intellettuale, righe scritte in età augustea, tira fuori quel filo-romanismo di Polibio, non apprezzato dai greci e dall’opinione pubblica greca, ancora ostile a Roma; nulla ci è giunto di questa storiografia anti-romana. La normalizzazione dell’intellettualità greca era dunque ancora un auspicio, più che un obiettivo conseguito.

Infine, considerazione sul profilo intellettuale di quelli che possono essere definiti i due grandi promotori dell’accennata svolta della cultura greca tra il I e il II secolo dell’Impero sono Dione e Plutarco.

Dione si è anzitutto posto il problema del ristabilimento di un connettivo di comunicazione fra l’élite politica e intellettuale e le popolazioni specialmente urbane della parte orientale dell’impero; a questo fine egli si è costruito una figura oratoria destinata a consentirgli di unire queste popolazioni al contratto culturale. Così egli ha sviluppato in quest’area dell’impero un discorso culturale che ha obiettivamente costituito un elemento di stabilizzazione politica e sociale; ma a far ciò è stato disposto solo nella misura in cui, in quanto filosofo, ha ritenuto di poter esercitare a sua volta una funzione di guida e di orientamento, al limite di controllo nei confronti dello stesso potere imperiale.
Plutarco, invece, non risulta sia sceso tra la folla a parlare ma ha certo operato profondamente per costruire una unità culturale che accomunasse il mondo greco e romano, naturalmente all’insegna dell’unica paidèia ellenica. “Di libertà i popoli ne hanno quanta i dominanti gliene danno, al di più è forse meglio non ce ne sia.” (Precetti politici, Plutarco).
Altri passi di Plutarco esprimono la sua convinzione che il dominio romano sia un bene anche per la grecità, anche se non si può dire che ne manchino di quelli che esprimono in proposito delle perplessità.

Con le diverse personalità di questi due intellettuali si apre il periodo della più intensa e feconda collaborazione fra intelligenza greca e romana, la seconda sofistica. A questa stagione appartiene il celebre discorso “A Roma” di Elio Aristide, il vero e proprio manifesto dell’adesione greca all’impero, stilato sulla base di motivazioni di alto profilo politologico, aggiungiamo anche le opere di Appiano, Cassio che in modo diverso ma complementare hanno ripensato la storia degli ultimi secoli nella forma di una vicenda integrata e unitaria della civiltà mediterranea.

Abbiamo messo in rilievo i diversi atteggiamenti degli intellettuali greci di fronte all’emergere romano, prima come potenza del mediterraneo e poi al suo progressivo trasformarsi in un dominio di tipo amministrativo, cioè destinato a durare.
Alcuni del temi ideologici-politologici messi a fuoco in quel contesto storico-politico sono poi trapassati nella coscienza culturale dell’Europa moderna e anche contemporanea, la quale è stata profondamente impegnata tra i dibattiti sulla natura delle logiche imperiali.

Autrice dell’articolo: Antonella