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Nella foto, gli orti del Muse (Immagine da Wikipedia).

Un nuovo quartiere che si rapporta con il contesto storico senza rinunciare a guardare al futuro

Non vi sono dubbi sul fatto che ciò che viene costruito vada a modificare l’assetto geografico, e per questo la sua progettazione comporta scelte di tipo politico, etico ed estetico. Non bisognerebbe dunque tralasciare nell’iter progettuale anche l’analisi dei caratteri ambientali del luogo: da questi concetti è partito il lavoro progettuale di Renzo Piano per il nuovo quartiere di Trento, posto in una posizione strategica tra il centro storico e il fiume Adige, con il quale l’architetto cerca (e riesce) a creare un dialogo.

Renzo Piano accettò l’incarico con motivazioni ben precise, come ricorda lo stesso architetto: “Abbiamo deciso di portare avanti il progetto di Trento principalmente perché rientra nel filone della riqualificazione delle periferie, che ci interessa in maniera particolare. E’uno dei temi del domani. O riusciremo nei prossimi vent’anni a capire che le periferie vanno riqualificate e riconnesse al tessuto urbano più vivo o dovremo assistere al  degrado generalizzato. “

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Una foto raffigurante l’esterno del Muse (Immagine da Wikipedia).

Il progetto prevedeva la creazione di un quartiere – denominato “Le Albere” con riferimento allo storico palazzo situato poco distante – in un’ampia superficie che si era liberata a seguito della demolizione di un’ex area industriale.

Il tema non era facile poiché l’area interessata dall’intervento era stata per molti anni emarginata nonostante la sua posizione centrale, ed ora il tentativo era quello di rivalutarla non solo come luogo di lavoro e produzione, ma attribuendole addirittura il ruolo di “secondo centro storico” tramite una miscela di funzioni quali abitazioni, uffici, negozi, centro polifunzionale, aree ricreative e, infine, un polo museale di 20000 metri quadri chiamato MUSE. Si trattava dunque di instaurare con il resto della città un dialogo architettonico di fatto mai esistito.

Per ottenere questo obiettivo era certamente necessario creare dei richiami compositivi tra la nuova architettura ed il contesto. Per questo motivo le pietre tradizionali del centro storico trentino, ovvero il Verdello e Rosso Trento, caratterizza i marciapiedi e da questi risale a rivestire la parte inferiore dei muri, i setti dei vani scala e le facciate degli edifici pubblici (il MUSE e il Polo tecnologico a sud); inoltre l’altezza degli edifici, i ritmi compostivi e la scala dimensionale sono paragonabili a quelli della città storica e delle attività industriali preesistenti. Gli edifici si concentrano ad est, lungo il percorso della ferrovia ed in continuità con la densità edilizia del centro storico, per poi diradarsi e lasciare estendere fino alle sponde dell’Adige un parco verde, grazie all’interramento di una parte di via Sanseverino, strada di transito che funge da accesso principale al quartiere.

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Nella foto è ritratto l’ingresso del Muse (Immagine da Wikipedia).

Ma il contesto è anche quello del fiume, che costituisce un segno fortissimo di confine dell’area di progetto. Non a caso uno dei principi fondanti del progetto è il richiamo all’acqua, elemento che attraverso una rete di canali e vasche artificiali percorre tutto il nuovo quartiere.

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Nella foto, il Muse sotto una nevitcata (Immagine da Wikipedia).

Infine questo di Renzo Piano è anche un progetto che guarda al futuro, e che presta una particolare attenzione al tema del risparmio energetico. La sostenibilità è particolarmente significativa se si costruisce in un territorio che ha con l’ambiente un rapporto privilegiato: gli edifici sono certificati CasaClima, mentre il MUSE è certificato LEED livello GOLD per l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale.

A proposito del Muse, nuovo polo della scienza e dell’innovazione, l’architetto afferma: “un’architettura che non sappia porsi in modo serio, coerente e rigoroso l’obiettivo della sostenibilità viene meno ad un dovere oggi ineludibile e indifferibile. Un dovere ancora troppo poco sentito non solo dagli addetti ai lavori, spesso condizionati da impegni e convenienze, ma anche dall’opinione pubblica”.

Autrice dell’articolo: Chiara T.


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