Montagne poeti dellinferno

“Canto a Lucifero”

Al sommo principe della notte,
all’invito dai raggi del sole,
a colui che delle tenebre fece il suo
regno, che per suo disegno ordì il gran diniego
tesso, canto allo straniero.
Te che brindi in eterno in calici
non temi secolo e millennio.
Vizioso per suo costume lontano dal lume del
godimento.
Ma inver sei recluso nell’ultimo gradino
del firmamento? Dalla caligine
a muso nero immerso non esci a riveder le stelle?
Temuto, della selva disperata che non sa quanto
sia oro il luminar del giorno, custode, imperatore.
I sogni, la speranza del rialzar il volto al ciel
è negato da quando per amor d’esser libero
dal divieto mangiò il pane della rivolta,
al padre, al condottiero, Michele castigator della pugna.
Solo, nel freddo pozzo urla lamenta il patimento,
di noi conosci il frutto voglioso del vizio, dell’imbroglio.
Dispensator di doni della lussuria dell’alto sigillo
della discordia.
Oh tu profondo volto di meteore rosse
piovuto come fuoco nell’eterne fosse.
Battuto e vinto dalla maestà dei sacerdoti
sei sul carro del vincitore del re dei cristiani
Nemico antico per riottoso nome bandito
dal pastore d’anime e tempeste.
Scintilla il tuo ardore nel mar dei secoli
fiamma imperitura, alchimista,
fattor di cupidigia, del fasto del libero amar.
Di fronte a te si staglia l’eterno per dispetto,
tuo fardello al figlio del padrone pietre e abbaglio.
Pianeti spenti, lampo fulmineo della materia arcana,
giudice e fattor.
Giaci nel lago gelido e il cor ti prende
di ritornar pennuto nel primo fiato del tempo antico.
No, qui non comanda la guida bianca della luna, dell’universo.
nello stagno onde ti lega la colpa vetusta non marciano
a suon di tromba e di alleluja i cori angelici tua prima
gioia.
Tu dalla gloria divina avulso,
dell’unica pianta sterpo fatal
Campione del tuo ego traboccante,
deh, non si piega al verbo immortal.
Come si estirpa la gramigna dall’ orto,
ma rinasce di solco in solco,
risorgi combusto, ma da eretto fusto.
Giacciono a terra sparte le tue glorie
or famelico leone, dell’ alme sei sempre pronto
ad esser la fiaccola nel tetro androne.
Non più i miti venti di primavera
per campi estesi ove riposar tra allori e viole.
Gli occhi cupidi delle donne, un petto insano,
alimenti ,sfuggon allor ai loro impegni,
di madri ,spose ai tuoi insegnamenti sempre pronte.
Nei coltelli, veleni fini ti insinui come incantatore
confondi mente e istinti.
I Marmi ornati del re dei duri libri
tra giudea e l’eterna Urbe,
lagrimar fecer saggi, intelletti arditi.
A te si volgon parole libere d’ogni
cura per chi non teme la paura.
Al tuo ciglio venne il gran poeta
che riportò agli umani del tuo seggio.
Nell’infero castello son pellegrini
chi del verbo fece a meno
sposaron l’altrui voler,
rinunciando al sereno.
Quinci che meni per le perdute strade
or le vivide fiamme comandi,
vanno a sfiorar i lucenti astri.
Stanno al ferrigno piè i fedeli guasti
inver servir più il ventre che il cor
eran pervasi.
Un tremito prende, fa vibrar
monti e mari,
l’alma che a te si strazia
onde udrà nell’ultimo giorno
il tuo verdetto.
Nel deserto dei sensi,
che coglie chi li si avvia
alleva il seme dell’ impudicizia
per sprofondar nella melma grigia.
Allor giunge il gran nocchiero
Lucifero, quanti nei conduci alla tosca rada!
Per te solo, nessun comando se non dal tua
essenza poni, giudichi come creatore
quel che dall’alto non si dispone.
Muovi i passi dell’umana sostanza
ruggi ti nascondi,
nel tedesco folle,
gettò all’infelice patto
quel che ognun nasce
stringe col primo genitore.
Il Santo padre della cupola maestro
più per poter che santo
sparse con Cesare,
Lucrezia violenza e inganno.
Armonia perfetta amor della natura
figli e pensier dell’architetto,
ma or qui non è il tuo
pianeta ne pietà al tuo difetto.
Ha vinto il chiaror che di sé
l’immenso avvampa.


Autore della poesia: Corrado cioci