Lesule romantico poesia

Sonetto 108 “Les Regrets” – Joachim du Bellay (1558)

Je fuz jadis Hercule, or Pasquin je me nomme,
Pasquin fable du peuple, et qui fais toutefois
Le mesme office encor que j’ay fait autrefois,
Veu qu’ores par mes vers tant de monstres j’assomme.

Aussi mon vray mestier c’est de n’espargner homme,
Mais les vices chanter d’une publique voix :
Et si ne puis encor, quelque fort que je sois,
Surmonter la fureur de cet Hydre de Rome.

J’ai porté sur mon col le grand Palais des Dieux,
Pour soulager Atlas, qui sous le faiz des cieux
Courboit las et recreu sa grande eschine large.

Ores au lieu du ciel, je porte sur mon dos,
Un gros moyne Espagnol, qui me froisse les os,
Et me poise trop plus que ma premiere charge.

Commento alla poesia

Il sonetto altro non è che una potente satira rivolta verso quella che era al tempo la Roma dello stato della Chiesa, con il papa re.

L’autore infatti parla del presente corrotto usando la statua di Pasquino, importante scultura situata nei pressi di Piazza Savona a Roma, dove un’antica statua di Ercole venne richiamata col tempo “Pasquino” e rappresentò la voce del popolo di Roma, data la curiosa abitudine del popolo di “dare voce alla statua” inserendo delle note e delle satire appiccicate alla statua.

La statua di Pasquino è talmente importante da avere un genere letterario a sé: le “Pasquinate”, insiemi di versi stirici di protesta.

La statua di Ercole diventa “Pasquino”, come si capisce anche dalla poesia dove la statua nella prima quartina prende coscienza di sé stessa. Sia Ercole che Pasquino però hanno una cosa in comune, entrambi combattono in un modo o nell’altro i mostri, i vizi e le corruzioni.

Pasquino però non è Ercole, che riesce a eliminare fisicamente i suoi nemici, è un eroe “perdente” perché perde contro i vizi di Roma; Pasquino dentro di sé nonostante tutto ha dentro Ercole, la sua radice, e acquisice forza proprio da questa antica identità.



Approfondimenti consigliati: